Le nuove regole potrebbero limitare la gobba previdenziale del 2035-40

Matteo Prioschi

Ridurre il vantaggio nella determinazione della quota di pensione corrispondente ai primi anni di anzianità nel metodo retributivo, contribuendo in questo modo a limare la “gobba” previdenziale cioè l’incidenza percentuale della spesa previdenziale sul prodotto interno lordo che ricomincerà a salire dal 2025 e raggiungerà il picco del17,2% tra il 2035 e il 2040. In base alla previsione normativa contenuta nell’articolo 34 del disegno di legge di Bilancio, per le pensioni decorrenti dall’anno prossimo, verranno modificati i criteri di calcolo dei lavoratori pubblici iscritti alla Cassa per i dipendenti degli enti locali, alla Cassa per i sanitari (che ieri sono scesi in sciopero), alla Cassa degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate, alla Cassa del personale presso gli uffici giudiziari. Secondo le regole ora in vigore, lo stipendio incide in modo non lineare sulla quota retributiva della pensione, perché il primo anno di anzianità vale il 23,865% dell’assegno previdenziale. Poi il “peso” degli anni successivi cala e 15 anni valgono complessivamente il 37,5 per cento. A fronte di carriere lunghe, quindi, il valore si avvicina a quello derivante dall’applicazione delle aliquote previste in altre gestioni previdenziali, come in Cassa Stato, e dunque il vantaggio iniziale si annulla. Tuttavia per chi ha meno di 18 anni di contributi al 1995, la pensione si calcola con il sistema misto, che prevede il retributivo fino a tale anno e il contributivo per le annualità dal 1996 in poi. Con il progredire degli anni, nel prossimo futuro crescerà la quota di lavoratori iscritti alle quattro casse che nel calcolo della pensione beneficerà del “vantaggio” derivante dal calcolo della quota retributiva, perché basata su pochi anni. Chi andrà in pensione anticipata nel 2030, raggiungibile secondo le stime attuali con 44 anni e 5 mesi di contributi, ipotizzando che abbia versato contributi continuativamente nella vita lavorativa, avrà circa 1o anni di quota retributiva; chi vi accederà nel 2035 avrà 5 anni; nel 2038 avrà 3 anni. Come spiegato dall’Ufficio parlamentare di bilancio nell’audizione parlamentare relativa al disegno di legge, «solo per portare l’esempio più macroscopico, un lavoratore “misto” che si pensionasse con tre anni di contribuzione precedenti il 1996 e quindi rientranti nel calcolo retributivo, vedrebbe il primo anno (1993) valere quasi il 23,9% della retribuzione pensionabile, il secondo anno valere 0,59% e il terzo 0,74% per un totale di quasi il 25,1 per cento…(8,4% in media l’anno, a fronte del 2% previsto per la generalità dei lavoratori dipendenti, inclusi gli altri pubblici)». Con le nuove regole, ogni anno varrebbe 2,5% e quindi tre anni il 7,5 per cento. In euro, significa che 1.00o euro di retribuzione pensionabile determinerebbero una pensione di 251 euro con le regole attuali e 75 euro con quelle future. A ciò andrà aggiunta la quota di pensione contributiva riferita agli anni dal 1996 in poi. Poiché il vantaggio attuale è maggiore per le anzianità retributive minori, le nuove regole di calcolo ridurranno in particolare gli assegni di chi andrà in pensione dopo il 2035, cioè gli ultimi lavoratori che rientreranno nel sistema di calcolo misto. Oppure, prima di tale anno, può impattare sensibilmente nei confronti di chi, per qualche motivo, ha comunque una ridotta anzianità previdenziale ante 1996. Invece fino a circa il 2028, si legge nella relazione dell’Upb, «si pensioneranno lavoratori con una anzianità maturata pre 1996 a ridosso dei 15 anni» e «l’impatto sulle pensioni individuali è tale da poter essere attutito se questi stessi lavoratori decidessero di posticipare il pensionamento di uno o due anni». Quanto al peso delle categorie coinvolte, saranno gli iscritti alla Cpdel a costituire la quota maggiore, con oltre 664 mila pensioni vigenti al 2043 toccate dalle nuove regole, i sanitari saranno circa 55mila, gli insegnati circa 10mila e quindi il comparto giudiziario con circa 2.200 pensioni.

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